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INSISTERE è TESTARDAGGINE, PERSEVERARE è DETERMINAZIONE.

Jacinto Benavente, drammaturgo spagnolo
Gennaio 2025

A distanza di ormai vent’anni da quando il ritorno del lupo nel mio territorio montano ha iniziato a condizionare costantemente e pesantemente la mia vita, continuo a domandarmi se, dopo l’estate del 2007, proseguire l’attività pastorizia – a cui avevo dedicato i primi 40 anni della mia esistenza – sia stata una scelta stupida o coraggiosa.

Sicuramente oggigiorno non consiglierei a nessuno di intraprendere l’attività di allevamento al pascolo nella quale avevo creduto da ragazzo, soprattutto partendo da zero come feci io. Il mondo è pesantemente cambiato dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, quando la strada che avevo intrapreso sembrava essere propria quella giusta: un ritorno ad un allevamento più sano e rispettoso del benessere animale, utilizzando terreni collinari montani abbandonati in modo “moderno”, con un minimo apporto di manodopera.

Il mondo di oggi pensa al territorio rurale fuori dalle città in termini completamente diversi. La maggioranza sembra desiderare un primordiale “ritorno alla natura” nella quale la presenza dell’uomo viene considerata più fastidiosa e dannosa che utile. Nel quale i diritti di proprietà privata dei singoli sono diventati nulli rispetto al valore per la collettività di questa trasformazione selvaggia di ciò che non è ancora stato cementificato. E dove un singolo esemplare di una specie animale selvatica come il lupo (da diversi anni ormai non più a rischio di estinzione) ha più valore di decine di animali da reddito che questo può uccidere in sole poche ore. Senza peraltro che questa “espropriazione di fatto” di tantissime proprietà private (nelle quali è diventato impossibile coltivare il proprio lavoro e le proprie passioni) venga in qualche modo ricompensato economicamente da quella collettività che pretende questa trasformazione.

La Pubblica Amministrazione a tutti i livelli (Unione Europea, Stato, Regione, Provincia) su questo tema si è sempre mossa in ritardo rispetto alle necessità. Con una dicotomia assurda nella quale mentre da un punto di vista agricolo, con timidi finanziamenti, si dichiara di voler preservare e moltiplicare le attività di allevamento al pascolo proprio come la mia (incompatibili però in un territorio rurale selvaggio abitato da predatori fuori controllo) dall’altra ha speso e continua a spendere decine di milioni di euro nel fronte ambientale, sostenendo tutte quelle realtà “scientifiche” e associazioni che di questa situazione sono responsabili. Associazioni “ambientaliste” – o sarebbe meglio dire “animaliste” – che grazie a quegli ingenti finanziamenti pubblici sono riuscite a modificare la percezione nei cittadini dei problemi che si accompagnano ad una rinaturalizzazione del territorio non gestita dall’uomo. Soprattutto agendo sulle giovani generazioni, con un vero e proprio lavaggio del cervello e lo stravolgimento delle conoscenze di base in materia che avevano accompagnato l’umanità dalla notte dei tempi. Arrivando alla negazione di avvenimenti storici ripetuti ed ampiamente documentati, che fosse solo per rispetto delle vittime andavano quantomeno ricordati. Per intenderci, la favola di cappuccetto rosso non è mai stata solo una favola.

Solo da qualche anno si assiste ad una discussione un poco più ampia circa il ritorno del lupo ovunque, prima illustrato alla cittadinanza solo come fatto positivo da una informazione che era a senso unico. È un confronto che lascia piccoli margini di speranza che si farà qualche passo indietro, e si penserà di nuovo ad un territorio rurale dove l’uomo possa continuare a vivere in armonia con gli elementi naturali. Si assiste oggi a questo dibattito attorno al lupo non perché si sia presa consapevolezza dell’importanza di preservare aziende agricole come la mia, ma “grazie” al fatto che il predatore è arrivato ad abitare persino nei pressi delle aree urbane. Le sue vittime sono sempre di più piccoli animali: cani, gatti, equini e caprini da affezione, predati spesso all’interno di giardini privati di case e villette. E non mancano ripetuti casi di aggressione all’uomo da parte del lupo. Avvenimenti costanti in passato e mai cessati laddove i lupi non si sono mai estinti, ma “impossibili” secondo i racconti che si ascoltavano vent’anni fa nelle scuole dai sostenitori del ritorno del lupo.

Che la trasformazione del territorio rurale abitato dall’uomo in un territorio selvaggio dove l’essere umano divenga un “ospite saltuario” solo per motivi ricreativi, sia un fatto positivo o negativo in termini di vera difesa dell’ambiente, dell’umanità e degli animali in generale (selvatici e domestici) lo dimostrerà solo la Storia.

Personalmente credo si dimostrerà assolutamente negativa. La mia “resistenza” ventennale per continuare sul percorso iniziato da ragazzo e – almeno a casa mia – mantenere la mia concezione di ambiente rurale è la miglior dimostrazione di questa mia convinzione. Ma a prescindere da quello che dimostrerà il futuro, la mia è stata ed è tuttora una storia di grandi sofferenze emotive, con spese molto ingenti ed antieconomiche rispetto all’attività imprenditoriale, e punte di amarezze indicibili. A chi avrà voglia e tempo di leggerla qui in dettaglio risulterà a volte incredibile.

Racconterò la mia storia cercando di attenermi ai fatti, esponendoli nella loro sequenza temporale ed in modo sintetico, quasi sempre però con la possibilità di un ampio approfondimento e visione di prove che dimostrino quanto narrato, su ogni vicenda.